Angelo Morbelli, pittore Divisionista, amico di Pellizza da Volpedo, e il maestro Giuseppe Verdi, cos’hanno in comune questi due personaggi? Entrambi milanesi di adozione, affrontano la questione della popolazione anziana priva di sostentamento e aiuto.
Tematica sempre attuale e oggi a Milano, in tempo di epidemia Covid nelle RSA, lo è ancora più.
E proprio lo storico Pio Albergo Trivulzio, triste protagonista delle cronache nazionali per via dei contagi da Coronavirus dei suoi ospiti, è il luogo in cui un giovane Angelo Morbelli, pittore alessandrino, a trent’anni si reca per la prima volta e dipinge “Giorni…Ultimi!” nel 1883 (oggi alla GAM di Milano), prima opera di tante altre fino al 1909, un anno prima che l’istituzione venisse spostata dalla contrada della Signora (zona di Porta Tosa) alla sua sede attuale.
Ma cosa racconta Morbelli nei suoi dipinti? Come dice il critico d’arte Zimmermann, “non è Morbelli ad inquadrare il ‘vero’ sociale, ma è lo spettatore che non può rimanere indifferente a quello che il pittore gli mostra”. Gli anziani ospiti della “Baggina” sono ritratti senza retorica pietista, in realtà senza nemmeno un intento politico sociale di accusa, ma solo con grande empatia e rispetto.
Gli anziani di Morbelli non presentano malattie fisiche evidenti e non vi sono elementi che denuncino condizioni precarie di assistenza. Vero è che traspaiono criticità socio sanitarie, quali il sovraffollamento e la promiscuità, ma non è questo il punto: è l’abbandono, e la distaccata e dignitosa consapevolezza di esso, il grande protagonista.
La sensibilità di Morbelli è mediata dal verismo delle sue opere: non vi troviamo scene strazianti, nessuna manifestazione di lacrime o gioia, ma un reportage minuzioso che ci costringe a guardare, anno dopo anno, sempre la stessa realtà, il tempo sospeso, la noia, l’anonimato e poi, inesorabile, l’oblio.
Eppure troviamo momenti lirici come in “Sogno e realtà” (Gallerie d’Italia a Milano) del ciclo pittorico “Poema della vecchiaia” in cui, alla consueta luce abbacinante delle sale dell’ospizio, si contrappone il ricordo nei colori onirici della notte…

In questo percorso ho voluto accostare Angelo Morbelli a Giuseppe Verdi, poiché sempre a Milano egli fonda la “Casa di Riposo per Musicisti” o semplicemente, come tutti a Milano la conoscono, Casa Verdi.
Queste le parole del maestro: “Delle mie opere, quella che mi piace di più è la Casa che ho fatto costruire a Milano per accogliervi i vecchi artisti di canto non favoriti dalla fortuna, o che non possedettero da giovani la virtù del risparmio. Poveri e cari compagni della mia vita!”.
Come da statuto, vi sono ammessi i cittadini “addetti all’arte musicale” che abbiano compiuto i 65 anni d’età.
Casa Verdi, che è aperta ai turisti, ospita la cripta neogotica in cui sono sepolti per loro volontà Giuseppe Verdi e la moglie, come a voler fare compagnia ai suoi cari ospiti. A rafforzare questa idea di “casa ritrovata” il maestro cedette alla casa di riposo una collezione di beni artistici, oggetti personali e cimeli appartenuti alla famiglia.
Come si legge nella pagina ufficiale della casa di riposo “[…] in Casa Verdi ci si accorge subito che le persone son persone, e la vita è la vita. Nessun modello, nessuna finzione sulla bontà e saggezza mite della terza età.” E ancora “Verdi conosce bene questa gente; e non li vuole organizzare, ordinare, assimilare in un modello; e non li vuole mettere in un qualcosa che significhi uno stato diverso da quel che hanno vissuto e quel che sono. Per questo è come se abitasse tra loro, come se fosse lui l’ospite nelle loro case.” e, tornando al Pio Albergo Trivulzio di Morbelli e all’anonimato e desolazione dei suoi ospiti, l’intento di Verdi è quello di dare la possibilità ai suoi “compagni” di sfuggire al destino di spersonalizzazione e oblio che, ancor più di quella fisica, equivale alla morte.
